Cisal Fialp: l’importanza della salute psicologica del lavoratore
Cisal Fialp: l’importanza della salute psicologica del lavoratore

La Cisal Fialp osserva e, soprattutto, cerca di contribuire nel rendere un ambiente lavorativo felice: incide sulla vita del dipendente, sulle relazioni nel team di lavoro e sull’esito dei risultati aziendali. La psicologia del lavoro e del benessere nelle organizzazioni ha dimostrato che essere in un ambiente lavorativo sereno porta le persone a produrre maggiormente, ad avere maggiore motivazione e ad essere più concentrati sugli obiettivi lavorativi, ottenendo risultati e fatturato, migliori. 

La Suprema Corte, con svariate recenti sentenze, con effetto tranciante, in favore dei lavoratori, si è pronunciata riguardo la risarcibilità dei danni alla salute psicologica derivanti non solo dalle loro specifiche mansioni ma dal modo e dall’ambiente relazionale e organizzativo in cui si struttura il lavoro.

La Cisal Fialp ritiene che per preservare il benessere psicofisico del lavoratore quest’ultimo dovrebbe, prima di tutto, trovare il modo di chiedere aiuto.

Diversi studi hanno rilevato che assume un ruolo primario e indispensabile la ricostruzione dell’equilibrio tra le dimensioni cognitiva, affettiva e comportamentale per armonizzare e bilanciare vita lavorativa e vita privata. Un valido supporto possono essere anche gli strumenti di screening: fare ad esempio un test sul burnout può essere un momento utile per acquisire maggiore consapevolezza del proprio stato di benessere.

Sul piano giuridico, una recente sentenza della Cassazione (2084/2024) ha ribadito che:

• il datore di lavoro risponde per i danni alla salute del dipendente causati da un ambiente lavorativo stressante anche quando gli atti lesivi non sono qualificabili come mobbing;

• il datore è responsabile in caso di comportamenti, anche colposi, che possano causare sofferenze psichiche al lavoratore.

Queste condotte, pur non essendo vessatorie, possono risultare incongrue soprattutto quando sono continue e ripetute nel tempo.

In particolare, facendo un passo indietro nel tempo, abbiamo che già con ordinanza n. 31514/2022, la Corte di Cassazione aveva rilevato come la malattia fosse indennizzabile, ai sensi dell’art. 13 del d. lgs. n.38/2000, anche quando non sia stata contratta in seguito a specifiche lavorazioni ma sia derivata dall’organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione (In tal senso, nella specifica fattispecie delle eccessive ore di straordinario, si era pronunciata Cass. n. 5066/2018): “ciò che importa è il semplice fatto che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente del lavoro, seppure non sia specifica conseguenza della prestazione lavorativa”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, la Suprema Corte, con ordinanza n. 3692/2023, ha ritenuto come sia configurabile la responsabilità datoriale, per violazione dell’art. 2087 c.c., “nel caso in cui il datore di lavoro stesso consenta, anche solo colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori…, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva al diritto alla salute, già garantito dalla Carta Costituzionale”.

Ciò che rileva, pertanto, è che il fatto commesso sia un fatto illecito (anche, ad esempio, nella fattispecie, della creazione di una ambiente logorante e determinativo di ansia), ex art. 2087 c.c., da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più alto livello dell’ordinamento, 

ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica.

Pertanto, risulta evidente che i Giudici ritengono che sia imprescindibile porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da potere indurre disagi o stress, che si 

manifestino isolatamente ovvero si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo a inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi.

In senso analogo l’ulteriore recentissima sentenza della Suprema Corte, n. 4664/2024 ha statuito come sia obbligo del datore di lavoro astenersi da iniziative, scelte o comportamenti che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici, oltre ovviamente a comportamenti più gravi come mobbing, molestie, stalking e così via, alcuni, anche, di possibile rilevanza penale (sulla scorta di quanto affermato anche dalla Corte costituzionale, vedi per tutte: Corte cost. sentenza n. 359 del 2003 e Cass. 5 novembre 2012, n.18927).

Per ciò che concerne l’onere della prova, peraltro, la pure recente sentenza n. 3791/2024, ha affermato come non spetti al lavoratore dimostrare la colpa dell’altra parte quanto sia, proprio ed esclusivo onere del datore di lavoro, ex art. 1218 c.c., avere provato di avere adottato tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza, la tecnica risultino necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (nel medesimo senso, Cass. nn. 24804/2023, 34968/2022, 33239/2022).

Alla luce di quanto sopra esposto, considerato che le menzionate ordinanze affermano il necessario equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato, la CISAL FIALP ritiene necessario porre la massima attenzione a possibili comportamenti datoriali, tali da poter indurre disagi o stress, 

nonché ottimizzare, al meglio, modelli organizzativi e gestionali (anche e soprattutto in ambito welfare) che salvaguardino la salute fisica e mentale dei lavoratori.

E’ necessario, pertanto, che le diverse amministrazioni si rendano conto che il lavoro non è fatto solo di norme, regole, capitali e tecnologie ma anche, se non soprattutto, di persone con le loro emozioni e relazioni.

Alla luce di ciò diventa, pertanto, prioritario, anche e, soprattutto, attraverso la classe dirigenziale, coinvolgere il personale, motivarlo, responsabilizzarlo. Del resto, la responsabilità non può essere considerata il solo rispetto formale delle regole ma la capacità di creare benessere come risorsa su cui investire.

Perdonatemi se sono ripetitivo, ma la CISAL FIALP sostiene senza alcuna riserva che la tutela della salute mentale dei dipendenti è un elemento imprescindibile per una cultura positiva del posto di lavoro.  

Di seguito Vi riporto quanto sostenuto autorevolmente dalla Royal Society for Public Health (RSPH): ansia, stress e depressione rappresentano i problemi di salute mentale più diffusi sul luogo di lavoro. Oggi queste problematiche si sono fatte più pressanti e una serie di fattori aggiuntivi possono influire negativamente sulla salute mentale, come la pressione psicologica a ritornare all’efficienza pre-pandemia, la difficoltà a gestire l’equilibrio fra lavoro e vita privata, la perdita del senso di appartenenza e le preoccupazioni sul costo della vita. Tutto questo può portare a:

• Perdita di produttività personale;

• Resistenza al progresso personale o avanzamenti di carriera più lenti;

• Scoraggiamento e sensazione di isolamento;

• Irritabilità;

• Mancanza di concentrazione.

Per l’azienda nel complesso, i problemi di salute mentale possono comportare:

• Maggiore tensione fra colleghi;

• Mancanza di condivisione della cultura e degli obiettivi aziendali;

• Mancanza di flessibilità;

• Bullismo e mobbing;

• Graduale perdita di creatività, innovazione e produttività generale.

Da ultimo, con riferimento alle predette sentenze, ricordo che in Italia, la sentenza è solo un precedente ma non fa legge.

Nel nostro ordinamento giudiziario, la funzione della Cassazione è quella di “illuminare” gli altri magistrati verso la corretta interpretazione della legge; le sentenze dei giudici non sono vincolanti, hanno valore solo tra le parti in causa. Quando però la pronuncia proviene dalla Cassazione, essa diventa un “precedente” che, seppur non vincolante, è autorevole.

La Cisal Fialp osserva e, soprattutto, cerca di contribuire nel rendere un ambiente lavorativo felice: incide sulla vita del dipendente, sulle relazioni nel team di lavoro e sull’esito dei risultati aziendali. La psicologia del lavoro e del benessere nelle organizzazioni ha dimostrato che essere in un ambiente lavorativo sereno porta le persone a produrre maggiormente, ad avere maggiore motivazione e ad essere più concentrati sugli obiettivi lavorativi, ottenendo risultati e fatturato, migliori. 

La Suprema Corte, con svariate recenti sentenze, con effetto tranciante, in favore dei lavoratori, si è pronunciata riguardo la risarcibilità dei danni alla salute psicologica derivanti non solo dalle loro specifiche mansioni ma dal modo e dall’ambiente relazionale e organizzativo in cui si struttura il lavoro.

La Cisal Fialp ritiene che per preservare il benessere psicofisico del lavoratore quest’ultimo dovrebbe, prima di tutto, trovare il modo di chiedere aiuto.

Diversi studi hanno rilevato che assume un ruolo primario e indispensabile la ricostruzione dell’equilibrio tra le dimensioni cognitiva, affettiva e comportamentale per armonizzare e bilanciare vita lavorativa e vita privata. Un valido supporto possono essere anche gli strumenti di screening: fare ad esempio un test sul burnout può essere un momento utile per acquisire maggiore consapevolezza del proprio stato di benessere.

Sul piano giuridico, una recente sentenza della Cassazione (2084/2024) ha ribadito che:

• il datore di lavoro risponde per i danni alla salute del dipendente causati da un ambiente lavorativo stressante anche quando gli atti lesivi non sono qualificabili come mobbing;

• il datore è responsabile in caso di comportamenti, anche colposi, che possano causare sofferenze psichiche al lavoratore.

Queste condotte, pur non essendo vessatorie, possono risultare incongrue soprattutto quando sono continue e ripetute nel tempo.

In particolare, facendo un passo indietro nel tempo, abbiamo che già con ordinanza n. 31514/2022, la Corte di Cassazione aveva rilevato come la malattia fosse indennizzabile, ai sensi dell’art. 13 del d. lgs. n.38/2000, anche quando non sia stata contratta in seguito a specifiche lavorazioni ma sia derivata dall’organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione (In tal senso, nella specifica fattispecie delle eccessive ore di straordinario, si era pronunciata Cass. n. 5066/2018): “ciò che importa è il semplice fatto che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell’esecuzione della prestazione in un determinato ambiente del lavoro, seppure non sia specifica conseguenza della prestazione lavorativa”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, la Suprema Corte, con ordinanza n. 3692/2023, ha ritenuto come sia configurabile la responsabilità datoriale, per violazione dell’art. 2087 c.c., “nel caso in cui il datore di lavoro stesso consenta, anche solo colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori…, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva al diritto alla salute, già garantito dalla Carta Costituzionale”.

Ciò che rileva, pertanto, è che il fatto commesso sia un fatto illecito (anche, ad esempio, nella fattispecie, della creazione di una ambiente logorante e determinativo di ansia), ex art. 2087 c.c., da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più alto livello dell’ordinamento, 

ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica.

Pertanto, risulta evidente che i Giudici ritengono che sia imprescindibile porre attenzione a tutti i comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da potere indurre disagi o stress, che si 

manifestino isolatamente ovvero si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo a inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi.

In senso analogo l’ulteriore recentissima sentenza della Suprema Corte, n. 4664/2024 ha statuito come sia obbligo del datore di lavoro astenersi da iniziative, scelte o comportamenti che possano ledere la personalità morale del lavoratore, come l’adozione di condizioni di lavoro stressogene o non rispettose dei principi ergonomici, oltre ovviamente a comportamenti più gravi come mobbing, molestie, stalking e così via, alcuni, anche, di possibile rilevanza penale (sulla scorta di quanto affermato anche dalla Corte costituzionale, vedi per tutte: Corte cost. sentenza n. 359 del 2003 e Cass. 5 novembre 2012, n.18927).

Per ciò che concerne l’onere della prova, peraltro, la pure recente sentenza n. 3791/2024, ha affermato come non spetti al lavoratore dimostrare la colpa dell’altra parte quanto sia, proprio ed esclusivo onere del datore di lavoro, ex art. 1218 c.c., avere provato di avere adottato tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza, la tecnica risultino necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (nel medesimo senso, Cass. nn. 24804/2023, 34968/2022, 33239/2022).

Alla luce di quanto sopra esposto, considerato che le menzionate ordinanze affermano il necessario equilibrio tra organizzazione di lavoro e personale impiegato, la CISAL FIALP ritiene necessario porre la massima attenzione a possibili comportamenti datoriali, tali da poter indurre disagi o stress, 

nonché ottimizzare, al meglio, modelli organizzativi e gestionali (anche e soprattutto in ambito welfare) che salvaguardino la salute fisica e mentale dei lavoratori.

E’ necessario, pertanto, che le diverse amministrazioni si rendano conto che il lavoro non è fatto solo di norme, regole, capitali e tecnologie ma anche, se non soprattutto, di persone con le loro emozioni e relazioni.

Alla luce di ciò diventa, pertanto, prioritario, anche e, soprattutto, attraverso la classe dirigenziale, coinvolgere il personale, motivarlo, responsabilizzarlo. Del resto, la responsabilità non può essere considerata il solo rispetto formale delle regole ma la capacità di creare benessere come risorsa su cui investire.

Perdonatemi se sono ripetitivo, ma la CISAL FIALP sostiene senza alcuna riserva che la tutela della salute mentale dei dipendenti è un elemento imprescindibile per una cultura positiva del posto di lavoro.  

Di seguito Vi riporto quanto sostenuto autorevolmente dalla Royal Society for Public Health (RSPH): ansia, stress e depressione rappresentano i problemi di salute mentale più diffusi sul luogo di lavoro. Oggi queste problematiche si sono fatte più pressanti e una serie di fattori aggiuntivi possono influire negativamente sulla salute mentale, come la pressione psicologica a ritornare all’efficienza pre-pandemia, la difficoltà a gestire l’equilibrio fra lavoro e vita privata, la perdita del senso di appartenenza e le preoccupazioni sul costo della vita. Tutto questo può portare a:

• Perdita di produttività personale;

• Resistenza al progresso personale o avanzamenti di carriera più lenti;

• Scoraggiamento e sensazione di isolamento;

• Irritabilità;

• Mancanza di concentrazione.

Per l’azienda nel complesso, i problemi di salute mentale possono comportare:

• Maggiore tensione fra colleghi;

• Mancanza di condivisione della cultura e degli obiettivi aziendali;

• Mancanza di flessibilità;

• Bullismo e mobbing;

• Graduale perdita di creatività, innovazione e produttività generale.

Da ultimo, con riferimento alle predette sentenze, ricordo che in Italia, la sentenza è solo un precedente ma non fa legge.

Nel nostro ordinamento giudiziario, la funzione della Cassazione è quella di “illuminare” gli altri magistrati verso la corretta interpretazione della legge; le sentenze dei giudici non sono vincolanti, hanno valore solo tra le parti in causa. Quando però la pronuncia proviene dalla Cassazione, essa diventa un “precedente” che, seppur non vincolante, è autorevole.