“In questo momento non abbiamo bisogno di politiche di moderazione salariale”
“In questo momento non abbiamo bisogno di politiche di moderazione salariale”
Immagine di copertina di: “In questo momento non abbiamo bisogno di politiche di moderazione salariale”

Intervento del Segretario Generale, Francesco Cavallaro


Hanno suscitato sorpresa alcune recenti dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, che muovendosi nella stessa direzione da tempo assunta dalla Cisal, sconfessano la teoria secondo cui, rispetto all’attuale quadro economico caratterizzato da un’alta inflazione, si dovrebbe accettare la moderazione salariale come una sorta di “male necessario” per contenere l’aumento dei prezzi.

A dire il vero la CISAL contestò tale tesi già all’indomani della presentazione del DEF, ritenendola frutto di una visione ancorata a schemi economici del passato e non coerente con la particolare natura dell’inflazione che stiamo subendo in questo periodo, sulla quale non è determinante l’incidenza del costo del lavoro ma che risulta causata principalmente da altri fattori quali, in primis, l’aumento del costo dell’energia.

Non si tratta, pertanto, di un’inflazione classica da eccesso di domanda, e oggi per scongiurare il rischio di recessione e sostenere la ripresa economica appare opportuno incrementare i consumi; ma per conseguire tale obiettivo è necessario recuperare il potere di acquisto delle retribuzioni.
È indubbio che uno dei fattori che ha inciso e continua a incidere sulla capacità economica delle famiglie sia rappresentato dalla scarsa crescita, soprattutto negli ultimi decenni, delle retribuzioni, e come quest’ultima sia frutto anche di una sorta di “strategia del ritardo” messa in campo dalle controparti datoriali in relazione ai rinnovi dei contratti collettivi di lavoro. A dicembre 2023 la quota dei lavoratori con contratto scaduto ha raggiunto infatti il 52,4% del totale, con tempi di attesa medi, per tali lavoratori, di quattro anni.

Le parole del Governatore dovrebbero indurre le parti sociali e le istituzioni ad una riflessione sulle azioni da porre in essere e sul ruolo che ciascun soggetto può e deve esercitare per contribuire alla ripresa del Paese. Per il sindacato è necessario innanzitutto riappropriarsi del ruolo di agente contrattuale, in rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Sembra scontato, ma spesse volte, in Italia, il sindacato interpreta un ruolo diverso, finendo per privilegiare al proprio ruolo istituzionale quello di agente politico, a volte con iniziative che paiono addirittura inopportune. A dimostrazione di ciò, il fatto che lo strumento della mobilitazione è troppo spesso indirizzato a sostenere iniziative contro il Governo più che a supportare rivendicazioni contrattuali.

Per uscire dall’impasse venutasi a creare, che coinvolge il sindacato, le parti datoriali ma anche Governo e il Parlamento, la CISAL propone da tempo di ripensare il modello di relazioni industriali e i meccanismi a supporto della contrattazione.
Già in occasione dell’insediamento del nuovo Governo la Cisal lanciò l’idea di un Patto per il Lavoro, un accordo fra le rappresentanze di lavoratori, dei datori di lavoro ed il Governo, che ridisegnasse il sistema degli assetti contrattuali e delle politiche del lavoro.
Tale tema è stato poi fortemente rilanciato dal dibattito congressuale Confederale, nel corso del quale è stata pure messa a fuoco la proposta di rivedere le norme sul costo del lavoro negli appalti, proponendo una riparametrazione delle retribuzioni dei lavoratori dell’appalto in base ai livelli retributivi previsti dal CCNL applicato dall’Azienda o Ente appaltante.

In particolare, proprio all’interno di tale “Patto per il Lavoro” avrebbero dovuto essere definiti sia i meccanismi tali da rendere pienamente esigibile il diritto a contrattare, che le eventuali misure di sostegno anche di natura fiscale finalizzate a favorire la contrattazione collettiva virtuosa.
Al riguardo riteniamo che le proposte avanzate anche dal Ministro del Lavoro e finalizzate ad introdurre forme di flat tax sui rinnovi contrattuali, benché lodevoli, non possano rappresentare l’unica soluzione al problema. In primis perché la detassazione avvantaggerebbe soprattutto chi percepisce retribuzioni elevate, incidendo, di converso, poco o nulla sul lavoro povero. In secondo luogo, perché non rappresenta una risposta di sistema.

La CISAL sostiene, di converso, la necessità di definire una strategia complessiva che affronti innanzitutto il problema dei ritardi nei rinnovi: attraverso l’introduzione in tutti i settori di una indennità di vacanza contrattuale crescente nel tempo, ovvero rivalutata ogni semestre che tuteli le retribuzioni “punendo” le parti datoriali inadempienti, e l’istituzione di una commissione nazionale per i contratti, che garantisca il corretto avvio e svolgimento delle trattative e sia dotata di poteri sostitutivi nel caso di comportamenti ingiustificatamente dilatori.
Alla medesima commissione dovrebbe essere affidato inoltre il giudizio di congruità del CCNL, con riferimento al trattamento economico, sì da scongiurare il fenomeno dei contratti poveri, ovvero non in linea con le previsioni costituzionali.
Sempre nell’ambito del Patto per il Lavoro dovrebbero essere individuati gli incentivi fiscali – anche temporanei – per sostenere la contrattazione virtuosa, non solo sotto il profilo retributivo, ma anche se non soprattutto della qualità del lavoro, in termini di flessibilità, conciliazione vita lavoro, garanzia di pari opportunità, sicurezza.

Per la CISAL non è utile né opportuno concentrarsi su un singolo provvedimento, che difficilmente potrà risultare risolutivo di tutte le problematiche, bensì è necessario condividere con tutte le parti in gioco, sindacali, datoriali e Governo un nuovo modello che consenta di proiettare il sistema Italia verso la crescita, riconoscendo al lavoro e ai lavoratori un ruolo centrale e propulsivo.

Occorre, infine, precisare che è certamente sbagliato legare il problema dei bassi salari a quello della rappresentanza sindacale; è dimostrato in modo incontrovertibile, anche ai fini statistici, come i contratti che trascinano al ribasso le retribuzioni di alcuni comparti (valga come esempio il caso della vigilanza privata) sono quelli maggiormente applicati e non quelli stipulati da sindacati “minori”; rispetto a tale non irrilevante fenomeno, quelle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto tali contratti “leader” (peraltro senza avere spesso la capacità di rinnovarli per tempo) dovrebbero fare un po’ di autocritica, anziché rivendicare, a proprio favore, norme sulla rappresentanza sindacale che , come ha detto recentemente qualcuno, servirebbero solo a “blindare” un sistema che non funziona più.

Immagine di copertina di: “In questo momento non abbiamo bisogno di politiche di moderazione salariale”

Intervento del Segretario Generale, Francesco Cavallaro


Hanno suscitato sorpresa alcune recenti dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia, che muovendosi nella stessa direzione da tempo assunta dalla Cisal, sconfessano la teoria secondo cui, rispetto all’attuale quadro economico caratterizzato da un’alta inflazione, si dovrebbe accettare la moderazione salariale come una sorta di “male necessario” per contenere l’aumento dei prezzi.

A dire il vero la CISAL contestò tale tesi già all’indomani della presentazione del DEF, ritenendola frutto di una visione ancorata a schemi economici del passato e non coerente con la particolare natura dell’inflazione che stiamo subendo in questo periodo, sulla quale non è determinante l’incidenza del costo del lavoro ma che risulta causata principalmente da altri fattori quali, in primis, l’aumento del costo dell’energia.

Non si tratta, pertanto, di un’inflazione classica da eccesso di domanda, e oggi per scongiurare il rischio di recessione e sostenere la ripresa economica appare opportuno incrementare i consumi; ma per conseguire tale obiettivo è necessario recuperare il potere di acquisto delle retribuzioni.
È indubbio che uno dei fattori che ha inciso e continua a incidere sulla capacità economica delle famiglie sia rappresentato dalla scarsa crescita, soprattutto negli ultimi decenni, delle retribuzioni, e come quest’ultima sia frutto anche di una sorta di “strategia del ritardo” messa in campo dalle controparti datoriali in relazione ai rinnovi dei contratti collettivi di lavoro. A dicembre 2023 la quota dei lavoratori con contratto scaduto ha raggiunto infatti il 52,4% del totale, con tempi di attesa medi, per tali lavoratori, di quattro anni.

Le parole del Governatore dovrebbero indurre le parti sociali e le istituzioni ad una riflessione sulle azioni da porre in essere e sul ruolo che ciascun soggetto può e deve esercitare per contribuire alla ripresa del Paese. Per il sindacato è necessario innanzitutto riappropriarsi del ruolo di agente contrattuale, in rappresentanza degli interessi dei lavoratori. Sembra scontato, ma spesse volte, in Italia, il sindacato interpreta un ruolo diverso, finendo per privilegiare al proprio ruolo istituzionale quello di agente politico, a volte con iniziative che paiono addirittura inopportune. A dimostrazione di ciò, il fatto che lo strumento della mobilitazione è troppo spesso indirizzato a sostenere iniziative contro il Governo più che a supportare rivendicazioni contrattuali.

Per uscire dall’impasse venutasi a creare, che coinvolge il sindacato, le parti datoriali ma anche Governo e il Parlamento, la CISAL propone da tempo di ripensare il modello di relazioni industriali e i meccanismi a supporto della contrattazione.
Già in occasione dell’insediamento del nuovo Governo la Cisal lanciò l’idea di un Patto per il Lavoro, un accordo fra le rappresentanze di lavoratori, dei datori di lavoro ed il Governo, che ridisegnasse il sistema degli assetti contrattuali e delle politiche del lavoro.
Tale tema è stato poi fortemente rilanciato dal dibattito congressuale Confederale, nel corso del quale è stata pure messa a fuoco la proposta di rivedere le norme sul costo del lavoro negli appalti, proponendo una riparametrazione delle retribuzioni dei lavoratori dell’appalto in base ai livelli retributivi previsti dal CCNL applicato dall’Azienda o Ente appaltante.

In particolare, proprio all’interno di tale “Patto per il Lavoro” avrebbero dovuto essere definiti sia i meccanismi tali da rendere pienamente esigibile il diritto a contrattare, che le eventuali misure di sostegno anche di natura fiscale finalizzate a favorire la contrattazione collettiva virtuosa.
Al riguardo riteniamo che le proposte avanzate anche dal Ministro del Lavoro e finalizzate ad introdurre forme di flat tax sui rinnovi contrattuali, benché lodevoli, non possano rappresentare l’unica soluzione al problema. In primis perché la detassazione avvantaggerebbe soprattutto chi percepisce retribuzioni elevate, incidendo, di converso, poco o nulla sul lavoro povero. In secondo luogo, perché non rappresenta una risposta di sistema.

La CISAL sostiene, di converso, la necessità di definire una strategia complessiva che affronti innanzitutto il problema dei ritardi nei rinnovi: attraverso l’introduzione in tutti i settori di una indennità di vacanza contrattuale crescente nel tempo, ovvero rivalutata ogni semestre che tuteli le retribuzioni “punendo” le parti datoriali inadempienti, e l’istituzione di una commissione nazionale per i contratti, che garantisca il corretto avvio e svolgimento delle trattative e sia dotata di poteri sostitutivi nel caso di comportamenti ingiustificatamente dilatori.
Alla medesima commissione dovrebbe essere affidato inoltre il giudizio di congruità del CCNL, con riferimento al trattamento economico, sì da scongiurare il fenomeno dei contratti poveri, ovvero non in linea con le previsioni costituzionali.
Sempre nell’ambito del Patto per il Lavoro dovrebbero essere individuati gli incentivi fiscali – anche temporanei – per sostenere la contrattazione virtuosa, non solo sotto il profilo retributivo, ma anche se non soprattutto della qualità del lavoro, in termini di flessibilità, conciliazione vita lavoro, garanzia di pari opportunità, sicurezza.

Per la CISAL non è utile né opportuno concentrarsi su un singolo provvedimento, che difficilmente potrà risultare risolutivo di tutte le problematiche, bensì è necessario condividere con tutte le parti in gioco, sindacali, datoriali e Governo un nuovo modello che consenta di proiettare il sistema Italia verso la crescita, riconoscendo al lavoro e ai lavoratori un ruolo centrale e propulsivo.

Occorre, infine, precisare che è certamente sbagliato legare il problema dei bassi salari a quello della rappresentanza sindacale; è dimostrato in modo incontrovertibile, anche ai fini statistici, come i contratti che trascinano al ribasso le retribuzioni di alcuni comparti (valga come esempio il caso della vigilanza privata) sono quelli maggiormente applicati e non quelli stipulati da sindacati “minori”; rispetto a tale non irrilevante fenomeno, quelle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto tali contratti “leader” (peraltro senza avere spesso la capacità di rinnovarli per tempo) dovrebbero fare un po’ di autocritica, anziché rivendicare, a proprio favore, norme sulla rappresentanza sindacale che , come ha detto recentemente qualcuno, servirebbero solo a “blindare” un sistema che non funziona più.